Come può essere verde il mio arido paese
Appunti di viaggio dal nord del Burkina Faso
Testo di Fredy Franzoni, membro di Comitato FOSIT. Fotografia di Alfonso Zirpoli
D’improvviso un brulichio di gente intenta a raccogliere verdure. Sul bordo della strada grandi scatole da cui traboccano fagiolini in attesa di essere caricati sui camion. Finalmente gli occhi vedono delle ampie macchie verdi dopo tanta terra arida. Fino ad ora si correva su una pista color mattone, in una pianura che pare senza confini. Solo boscaglia e qua e là distese di fili d’erba secca. Dei campi dorati che si piegano all’harmattan, il vento del deserto. Siamo nel nord del Burkina Faso. Più in su inizia la sabbia del Sahara. La terra è avara, in continua competizione con la stagione delle piogge. Molta acqua a giugno vuol dire granai pieni di miglio e mais. Altrimenti è carestia. Per decenni le organizzazioni internazionali sono intervenute con soccorsi alimentari d’urgenza. Colonne di camion debordanti di sacchi di viveri. Un giro vizioso che non sembrava mai poter avere fine. Più tardi si sono scavati pozzi, costruite piccole dighe che formano delle riserve d’acqua per prolungare nel tempo i benefici della stagione delle piogge. Si è così aperta la porta all’orticoltura, laddove era quasi sconosciuta. Coltivare verdure vuol dire arricchire l’offerta alimentare della propria famiglia. Ma apre anche molte opportunità di diventare attori sui mercati locali o nei commerci nazionali e internazionali. Laddove c’è acqua anche il suolo più arido sa diventare generoso. BEOGO, una delle varie organizzazioni svizzero italiane che operano sul continente africano, ha raccolto la sfida nel Burkina.Sono stati finanziati la costruzione di pozzi, l’allestimento di sistemi di irrigazione goccia a goccia, la recinzione dei terreni coltivati. Con il partner locale ZOODO, ha però anche sviluppato una nuova coscienza e consapevolezza nelle singole comunità rurali. Un esempio tra i vari. Il comune di Wabdigré, perso in un’infinita pianura. Unici punti di riferimento lungo il tortuoso correre della pista dei mastodontici baobab, che paiono dei guerrieri a difesa del nulla. Il nucleo di case sembra cresciuto dalla terra, più che costruito da mani umane. Pareti di mattoni di terra. Capre e galline di ogni grandezza scorazzano ovunque. Come la gente; un miscuglio di età, tutti presenti nel medesimo momento a salutare, a scrutare, a cercare di dare un perché all’improvviso arrivo di un gruppo di bianchi. Mancano però le donne. Sono tutte a poche centinaia di metri, nel grande orto. Tra poco calerà la se
Agricoltore Ticinese, 24.01.2014